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Feste in onore a S. Giuseppe

Il Santuario > Pompei tra Cronaca e Storia

*Un Artista per Pompei

La collaborazione tra il Loverini e Bartolo Longo iniziò in occasione della costruzione di una Cappella in onore di S. Giuseppe. Al pittore fu commissionata una tela.
La tela era stata commissionata dal Vescovo e dal clero di Bergamo con l’intento di offrirla in dono al Papa Leone XIII nella ricorrenza del suo giubileo sacerdotale (1887). Il dipinto, portato a Roma, riscosse lusinghieri consensi nell’ambito della Curia, meritando così di figurare nell’Esposizione Vaticana del 1888.
Bartolo Longo in quella occasione ebbe l’opportunità di ammirare l’opera ricevendone un’impressione profonda. Quel "carattere spirituale e devoto" trasfuso nella figura della Santa, suscitava intensa commozione.
Il Maestro, senza mezzi troppi appariscenti e con lo studio profondo dei particolari, era riuscito ad assurgere ad un felice concetto, esprimendo tutta la santità della scena, piena di dolcezza e di mistico e puro senso di tristezza.
Un artista per il Santuario
Bartolo Longo aveva scoperto finalmente l’artista che desiderava lavorasse per il Santuario a Valle di Pompei.
Risoluto gli spedì una lettera da cui chiari traspaiono i suoi desideri e le sue emozioni: "Al Signor Ponziano Loverini, Pittore. Borgo S. Caterina – Bergamo. Chiarissimo Signore, vidi un suo quadro all’esposizione Vaticana, Santa Grata con Sant’Alessandro e fui invaghito dal suo stile e dalle sue concezioni nell’arte. Dissi tra me: l’opera di questo pittore non deve mancare nel santuario Monumentale di Pompei, che è una mostra dell’arte italiana cristiana moderna di fronte alle vestigia dell’arte pagana antica.
Io non ho il bene di conoscerla di persona, né conosco le sue esigenze nei lavori di pittura. Però se ella pensasse, nel suo cuore, come tanti artisti italiani e stranieri hanno inteso un desiderio di visitare quest’opera di religione, di arte e di civiltà che sorge rimpetto all’antica Pompei, sarei ben lieto di comunicarle i miei sentimenti, e, col viso della voce, potremmo accordarci per qualche dipinto, che, usufruendo il lustro di questo Santuario, renderebbe mondiale anche il suo nome. Intanto per farle avere qualche breve ragguaglio di quest’opera che la Provvidenza ha affidato alle mie cure, le mando alcuni quaderni del mio Periodico ed una immagine della nostra Vergine del Rosario. Sono, con profondo ossequio, suo devotissimo Bartolo Longo".
L’incontro con il pittore Loverini fu provvidenziale; Bartolo Longo aveva piena ed urgente necessità di un artista cristiano a cui poter commettere le pale per gli altari che andava man mano erigendo nel novello Tempio dedicato alla Vergine del Santo Rosario. L’occasione gli si offriva propizia per l’erezione dell’altare di S. Giuseppe.
Non conosciamo, purtroppo, la risposta del Loverini alla lettere così lusinghieri di Bartolo Longo.
Sappiamo, però, che l’Avvocato il 29 maggio del 1889 rinnovò l’invito all’artista con termini veramente affettuosi: "Venite a passare qualche giorno a Pompei, facendomi il più grande dei favori. Resterà a mio conto la spesa per il viaggio e starete con noi in quei giorni come persona di famiglia" (B.L.)
La tela e l’altare di S. Giuseppe
Il pittore, irretito da un invito così suadente, assicura di essere a Pompei il 24 luglio del 1889.
In quell’incontro Bartolo Longo dovette esporre al Loverini i suoi progetti inerenti i dipinti da sistemare sugli altari e, più di tutto, discussero sicuramente circa la tela rappresentante il transito di San Giuseppe da esporre sull’altare nella grande cappella, a destra della Crociera. Indubbiamente ci fu l’accordo e la commissione, lo apprendiamo da una lettera del Loverini da cui stralciamo:
"Bergamo, 7 settembre 1889. Illustrissimo Signor Avvocato, ieri ricevetti la sua gentilissima lettera contenente un vaglia di lire 1.000. A tanta attenzione non posso che ringraziarla immensamente assicurandola che il quadro da lei commessomi: il Transito di S. Giuseppe, convenuto alla somma di lire 5.000, lo consegnerò infallibilmente il 15 aprile 1890".
Il quadro, infatti, spedito puntualmente, giunse per ferrovia, alla stazione di Scafati il 14 aprile 1890; per il trasporto Bartolo Longo pagò 73 lire e 25 centesimi. La grande tela fu sistemata su telaio dal Signor Chiariello "valente costruttore di tele" mentre, "l’artista Pesce, ne ricavò una magnifica fotografia".
Installato il dipinto, rapidamente fu ultimata la magnifica struttura dell’altare e del cappellone. Il 7 maggio, mercoledì del 1890, il Cardinale Guglielmo Sanfelice dei Duchi di Acquavella alle ore 12 benedisse la cappella e consacrò solennemente l’altare.
"Questo altare sebbene non importante quanto quello dell’abside, ne ricorda tuttavia le linee principali ed è degno di osservazioni perché ne risulta un insieme artistico ed altamente religioso.
Un marmo rosso sanguigno (Griotta di Cannes) ne forma l’orditura principale, alternandosi nei fondi con durissime stalattiti di abbagliante fosforescenza.
Nei Capi Altare, invece, i fondi sono di raro marmo multicolore (Serrangolino). Due magnifiche colonnine di marmo nero (breccia africana), calzate da basi attiche con i fregi di bronzo dorato, simili a quelle dei capitelli, sorreggono la mensa che è tutta di un pezzo.
Il Ciborio presenta sul suo fronte un pronato con colonne di stalattiti dalle basi e dai capitelli di bronzo dorato. La trabeazione e la cornice sono di un vivissimo marmo rosso (breccia). La porta e la
parte interna del Ciborio sono di bronzo dorato, lavorato con grande finezza.
La predella col sottostante scalino (marmo grigio dei Pirenei) forma base all’altare e si accorda perfettamente con esso.
L’altare è fornito di un parato di candelieri di bronzo massiccio dorato, che, sebbene più piccoli, riproducono nel disegno quelli dell’altare maggiore.
A destra dell’altare è addossata al basamento di un pilastro la mensola per deporvi le ampolline. Essa è composta da una lastra di raro marmo giallo (giallo di Siena) e di una gran mensola scolpita (marmo bianco di Carrara)" (Bartolo Longo).
Abbiamo ritenuto utile riportare l’antica descrizione dell’altare per fornire elementi convenienti per un paragone storico.
Si ricordi che a seguito dell’ampliamento del Santuario (1934-1939), furono affiancate al primitivo corpo centrale del Tempio le due navate laterali. Durante la costruzione di esse fu inevitabile, per validi motivi tecnici e strutturali, modificare notevolmente la linea architettonica originaria sacrificando, in parte, anche il sontuoso rivestimento marmoreo dei due altari del braccio destro e sinistro della crociera.
Bartolo Longo nel Periodico di luglio del 1890 esultante scrive:
"Il Transito di San Giuseppe del Professore Ponziano Loverini: una nuova gloria dell’arte italiana che trae le sue ispirazioni dall’ideale religioso.

L’Artista doveva incarnare un soggetto che va annoverato tra i più sublimi della storia della religione soprannaturale, e che si reputa il più difficoltoso dà grandi artisti.
Come abbiamo notato, la scena non è umana soltanto, ma umana e sovrumana ad un tempo.
I personaggi sono tre, tutti e tre offrono un grado di eccellenza che diventa ineffabile sotto il punto di vista dei rapporti che li uniscono nel compimento di una missione altissima.
Da una parte l’Uomo-Dio, dall’altra Maria e Giuseppe. L’Uomo-Dio entra in relazione sensibile con questi due esseri umani con il rapporto domestico e giuridico di figlio.
Maria, pur riconoscendo la sua inferiorità di natura a Gesù, è madre, e ne esercita il ministero.
Nella morte di San Giuseppe il Loverini, presentando i tre personaggi della scena tradizionale: (il protagonista che sta esalando lo spirito a Dio, la Vergine Santissima e il Divin Figliuolo che assistono), ha saputo con la fantasia variarla in modo nuovo e bello rischiarando la rustica camera del falegname di Nazareth con la luce che viene dal Cielo, e popolando l’aria di angeli lontani, di due che stanno sopra il moribondo con palme e di altri tre inginocchiati al suo fianco destro.
Così, un fatto del tutto conforme alla comune sorte dei mortali, prende carattere ascetico ed entra nei campi del sovrumano, dell’ideale.
(Da: Il Rosario e La Nuova Pompei – Anno 107 – n° 1 – Gennaio/Febbraio 1991)
(Autore: Nicola Avellino)

*22.04.1883 - La prima festa in onore di San Giuseppe

L’opera pompeiana tra cronaca e storia
Interessante, a distanza di tanti anni, costatare come il Beato volle sottolineare il momento di festa cittadina con un generoso atto di carità verso i più poveri.
La prodigiosa Immagine del Rosario resterà esposta nella nuova Chiesa sino alla Domenica 13 del Mese (1). Ed in quella Domenica per la prima volta in Pompei del Novello Santuario di Maria, accorreranno i poveri contadini ad onorare lo Sposo Immacolato dell’Immacolata Madre di Dio, il Patrono della Chiesa Universale (2), il Protettore della Chiesa di Pompei, e della nuova Casa del Rosario, e della buona morte (3), il Patrono della Chiesa Universale. I Contadini faranno la Comunione Generale, e vi sarà solennizzata la Prima Comunione dei fanciulli e delle fanciulle assidui al Catechismo. Ed il chiarissimo Missionario apostolico Sac. D. Francesco Scardaccione di Napoli farà il Colloquio della Comunione Generale ed il fervorino nella Benedizione di Gesù Sacramentato. Precederà la festa un triduo di Prediche, che farà il P. Maestro Fra Alberto Radente (4) dei Predicatori nominato dal Vescovo di Nola a Rettore della nuova Chiesa del Rosario in Pompei. La Festa sarà tutta di beneficenza e tutta a spese di alcune dame Napoletane devotissime del Santo Patriarca. Si darà il vestito ed il pranzo ad un vecchio, ad un fanciullo e ad una donna poveri (5), in onore della triade Terrestre. Si distribuiranno tre vestiti di premio a 3 fanciulli più assidui e più diligenti del catechismo festivo, ed altri 3 abiti alle fanciulle, ed un maritaggio di L. 50 (6). Si darà l’elemosina a 15 poveri in onore dei 15 Misteri. E il giorno vi sarà detto il panegirico, dal chiarissimo Oratore Domenicano P. Lettore F. Vincenzo Guida di Napoli.
Pompei il 22 di Aprile del 1883 – Bartolo Longo
Note
(1)
I nostri lettori già sanno; più volte l’abbiamo riportato ed in varie occasioni abbiamo precisato che il Quadro miracoloso della Vergine, nei primordi dell’Opera Pompeiana, fu collocato provvisoriamente e per breve tempo nella vecchia e cadente chiesuola del SS. Salvatore in attesa di essere custodito ed esposto alla venerazione, nella cappella del SS. Rosario ubicato in un piccolo ambiente sulla sinistra per chi entra nell’attuale Santuario. In attesa che si completassero i lavori per la costruzione del grande Tempio e, soprattutto, dell’altare monumentale con il suo trono grandioso, le funzioni si svolgeranno appunto in quella piccola Cappella con naturale disagio per i fedeli, tutti desiderosi di prostrarsi ai piedi della Vergine miracolosa ed implorare da Lei ogni grazia.
Bartolo Longo addirittura fu costretto, specialmente per i pellegrinaggi con numerosi partecipanti, a stabilire un turno di prenotazione al fine di poter consentire a tutti di venerare, anche per breve tempo, più da vicino la Sacra Immagine. In qualche ricorrenza solenne, sempre compatibilmente con lo svolgimento dei lavori, il Quadro veniva trasferito nel Tempio in costruzione e collocato su un altare centrale, provvisorio, contornato da altri cinque altari più piccoli per dare agio ai numerosi sacerdoti di celebrare la Messa ed ai fedeli di raccogliersi in preghiera. Nel 1883, come Bartolo Longo ci testimonia. Il Quadro fu esposto infatti nell’erigendo del Tempio "occupato per metà da anditi; e stuccatori, e marmolai, e pittori, che già intendono a decorare la parte più eccelsa della Chiesa quale è la Cupola, ed i quattro archi maggiori, secondo le regole della buona architettura.
Pertanto i pellegrini entreranno dalla porta maggiore del Tempio, ascolteranno la Messa all’altare a bella posta eretto nel mezzo di esso per venerare l’immagine prodigiosa" (B.L.).
(2) Il Papa Pio IX, con proprio decreto del giorno 8 Dicembre 1870, aveva solennemente dichiarato San Giuseppe Protettore della Chiesa Universale.
(3) Bartolo Longo aveva fondato la Confraternita per gli agonizzanti ed aveva predisposto una speciale schiera di candide orfanelle, chiamate appunto Giuseppine, deputate a recitare particolari fervide preghiere per gli associati moribondi "soccorrendoli in quelle ore angosciose ed estremo bisogno con la prece potentissima dell’innocenza" (B.L.).
Il primo associato alla Confraternita fu proprio Leone XIII che, per felice coincidenza, morì il 20 luglio 1903, il giorno del Transito del Patriarca San Giuseppe da secoli celebrato dalla Chiesa e, per la prima volta, in quell’anno, commemorato e festeggiato nella Basilica di Pompei.
(4) Bartolo Longo profondamente commosso partecipa ai fratelli e alle sorelle del Terz’ordine della Penitenza di San Domenico, la morte del Padre Radente, il loro direttore. "Il nostro dolce, benigno e caritatevole Direttore, padre maestro Fr. Alberto Radente dei Predicatori, il vero sacerdote secondo il cuore di Dio, il degno rappresentante di San Domenico in mezzo a noi suoi figli, il primo Apostolo del Rosario in questa Valle di Pompei, il sottile filosofico, il profondo teologo, l’inarrivabile maestro di spirito, colui che possedette in grado eroico le virtù dell’umiltà, della carità, del disinteresse, della purità, della misericordia, della povertà e della obbedienza religiosa, il tenerissimo amante di Maria, venne a noi rapito da questa terra di esilio il giorno di lunedì 5 di gennaio (1885), nell’ora dei primi vespri dell’Epifania, lasciando noi tutti nel pianto e nell’amarezza… I suoi esempi ed eminenti virtù, le sue massime di una semplice ed insieme alta santità siano vive innanzi agli occhi nostri ed alla nostra mente" (B.L.).
Per inciso si ricordi che la memoria di Padre Radente, in relazione all’Opera Pompeiana, deve restare imperitura e, senza limiti, la riconoscenza. Egli aveva dato alla sua penitente, Suor Maria Concetta De Litala, la vecchia e sdrucita tela della Madonna del Rosario; su indicazione di Padre Radente, Bartolo Longo si recò da quella pia monaca e ne ebbe in dono il quadro che, portato a Valle di Pompei, fu esposto alla venerazione per la prima volta la sera di sabato, 13 Novembre 1875.
(5) Con l’istituzione dell’Ospizio per i figli dei carcerati (1892), la beneficenza ai poveri ed ai fanciulli veniva effettuata da Bartolo Longo in un ambito notevolmente più vasto. La cerimonia del pranzo si svolgeva infatti nel cortile dell’Istituto ed era una offerta simbolica, un piacevole dono fatto dai giovinetti ivi ricoverati, quasi a voler essi offrire un ringraziamento; un ricambio di carità, anzi, una sublime trasformazione: i beneficiati diventavano benefattori. Sul calendario del 1904, Bartolo Longo pubblicò la cerimonia del pranzo offerto il 24 maggio q903 a 100 vecchietti ed ai fanciulli poveri. È una pagina stupenda, la riproduciamo con qualche doloroso taglio.
"Quale caratteristica sfilata! Vecchi e fanciulli indossano abiti puliti, camicie di bucato, e forse in quel mattino avevano curata un poco più attentamente degli altri giorni la personale nettezza. Entravano, uno per volta, sotto il porticato, dove erano ordinate le mense. Tra i vecchi, chi zoppicava, chi poggiavansi su due bastoni; altri trascinavansi innanzi con movenze stentate, altri poggiavansi alla spalla del compagno vicino; qualche infelice, perché cieco, era condotto per mano, i fanciulli, invece, irruppero come un’ondata. Tutti portavano al collo, sospeso con un nastrino, il biglietto di invito fatto a forma di cuore.
Ogni povero aveva innanzi, al proprio posto, il suo tovagliolo, una bottiglia di vino, un mezzo pane bianchissimo, il piatto, il bicchiere e la posata. I Figli dei Carcerati nella loro tenuta di gala si affaccendavano intorno alle tavole; e dalle sale, che mettevano capo nella grande cucina dell’Ospizio, sino alle mense era una processione di fumiganti tondini pieni di saporose e odorose vivande. Era grazioso vedere i fanciulli poveri che sgranavano tanto d’occhi all’arrivo di una grossa porzione di carne. I vecchi guardavano di preferenza le bottiglie, e vi fu pure chi cedette qualche pietanza in cambio del vino, al
compagno. Ma la festa raggiunse il massimo brio, quando comparvero delle grosse torte dolci. I Fanciulli invitati, con gioia infantile, applaudirono, seguendo con gli occhi ogni porzione che veniva staccata dal piatto comune e servita per turno. Negli occhi dei vecchi tremolavano lagrime di riconoscenza, i monelli vociando e ridendo erano soddisfatti delle ore passate in tavola. Come ricordo della bella Festa furono donati ai centro poverelli i piatti, la posata, il bicchiere, la tovaglia e il tovagliolo che avevano usati per il pranzo".
(6) Maritaggio: istituto giuridico consistente nell’assegnazione di una somma di denaro o altro bene a titolo di dote per consentire di contrarre un matrimonio, socialmente decoroso, anche a donne non appartenenti a famiglia con adeguati mezzi economici. La somma destinata al maritaggio era di lire cinquanta ed assegnata ad una giovinetta bisognosa e meritevole tratta a sorte tra quelle che avessero raggiunto il quindicesimo anno di età ed a condizione che avessero frequentato l’Oratorio festivo con assiduità e per almeno quattro anni; dovevano, inoltre, aver serbato una condotta di vita lodevole come si conviene ad una fanciulla "educata alla scuola di Gesù Cristo e che abbia fatto profitto nel Catechismo" (B.L.).
Il premio toccato alla prescelta dalla sorte, veniva posto su di un libretto della Cassa di Risparmio e consegnato alla intestataria, con i rispettivi frutti maturati, al compimento del ventiquattresimo anno di età.
(Autore: Nicola Avellino)

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